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   [v. 109-114] c o m m e n t o 169

Potrebbesi ancora referire questo modo a quel che dice che mi fu tolta; cioè il modo con chi1 mi fu tolta la persona m’offese quando mori’: chè fui uccisa; la qual cosa mi dispiacque forte, et ancora mi dispiace, o vero perchè allora ne fui diffamata per lo mondo, et ancora al presente ne sono diffamata. Seguita: Amor, che a null’amato amar perdona; cioè che l’amore il quale constrigne sempre chiunque è amato, ad amare, e così non perdona a chi è amato, amare: impossibile è che chi è amato non amai colui che ama lui, in quanto elli lo sappia. Mi prese; cioè prese me Francesca, del costui; cioè di Paolo, piacer; cioè a me Francesca, sì forte; cioè si fortemente, Che, come vedi; tu Dante, ancor non ’abbandona: imperò che vo insieme con lui: chè se questo amor m’avesse abbandonato, non anderei con lui. E questo è secondo la fizione dell’autore, non secondo la verità della Teologia, come detto fu di sopra. Amor; cioè avvicendevole che elli ebbe a me, et io a lui, condusse noi; cioè Paolo, e Francesca, ad una morte: imperò che, come detto è di sopra, Lanciotto trovatili insieme, insieme li uccise. Caina attende chi in vita ci spense; cioè quel luogo ove sono i traditori del propio sangue, che si chiama Caina, del quale si dirà nell’ultimo di questo poema, attende; cioè aspetta, chi ci spense in vita; cioè Lanciotto che uccise Paolo suo fratello e me, a modo di traditore. Queste parole da lor ci fur porte; cioè a me Dante, et a Virgilio da Francesca parlante per sè e per Paolo. E questa parte non à allegoria

C. V — v. 109-114. In questi due ternari dimostra l’autore come si mosse a compassione, udito lo parlamento de’ detti spiriti; onde dice: Da ch’io; cioè poi ch’io Dante, intesi quell’anime offense; dal peccato della lussuria, o vero dell’uccisione, o vero dalla infamia, come è detto di sopra, Chinai ’l viso; io Dante, e tanto il tenni basso; per dolore e compassione ch’ebbe al peccato loro, che fu cagione de’ loro martìri, e tormenti, incominciato da onesto amore e licito, e per fragilità umana caduto in disonesto, Fin che il Poeta; cioè Virgilio, mi disse: Che pense? Qui può essere allegoria, che la sensualità significata per Dante per le cose mondane si muove et attristasi; ma la ragione significata per Virgilio la sveglia, a ciò che di quel vano pensiere esca. Dice adunque: Che ài tu Dante, o vero, che pensi, che stai col capo chinato, che è segno di pensamento? Quand’io; cioè Dante, risposi; a Virgilio, cominciai: O lasso; me Dante, che è parlare di dolore e compassione. E possiamo allegoricamente intendere che l’autore abbi compassione all’umana natura che cominciando spesse volte con grande virtù, cade per sua fragi-

  1. C. M. con che. — Il nostro Codice ne dà- con chi — e così abbiamo lasciato, perchè gli antichi usavano talora chi come relativo. E.