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introduzione xvii

zione e l’essere delle cose, il luogo che ciascuna occupi, i legami che abbiano esse tra loro, le loro azioni e passioni nel sistema del mondo, e questo sistema cosmico, quanto allora fosse conceduto a creata intelligenza. Nè per altra via procedevano le menti a dovere intendere le opere letterarie. Onde gli espositori della Divina Commedia, guidati dall’autorità del magistero scolastico, davano una sufficiente notizia istorica dell’autore, parlavano della natura e costituzione del libro, ne interpretavano gl’intendimenti, mettevano in luce l’altissimo fine, al quale il poeta avesse voluto indirizzare lo spirito dei lettori, e considerando tutte le scienze quasi membra congiunte in un gran corpo e soggette alla sovranità della filosofia, determinavano a qual parte di essa fosse da recarsi il componimento tolto ad esaminare1. Una adunque era la via maestra, la quale nel secolo di Dante fosse aperta agli studiosi a doverlo pienamente comprendere e sapientemente interpretare, quantunque non mancassero i sentieri più corti, o i luoghi opportuni a dilettevole riposo; e come generalmente seguivano uno stesso metodo, così tutti erano concordi nella opinione, che un senso recondito fosse da cercarsi sotto il velo dell’allegoria.

Francesco da Buti non ha la ricchissima copia del dire, che è tutta propria del Certaldese, veramente Tullio toscano; nè, come questi o l’Imolese, esercita la vivacità dell’ingegno intorno al testo di Dante, narrando storie, e cogliendo ogni occasione di soddisfare abbondevolmente a se stesso, Egli sa che valentissimi uomini, i quali sarebbe impossibile, non che avanzare, ma solamente agguagliare, ebbero

  1. Quanto ponessero mente alla dipendenza di tutte le altre discipline della filosofia può vedesi anco a p. 128, ove il Buti spiega il verso: In tanto voce fu per me udita. E il Bargigi dice lo stesso.