Aprite quello di Giovanni Boccaccio, e troverete, che, a parer suo, sono da vedere tre cose, le quali generalmente si sogliono cercare ne’ principii di ciascuna cosa, che appartenga a dottrina. La primiera è di mostrare quante e quali sieno le cause di questo libro; la seconda, qual sia il titolo del libro; la terza, a qual parte di filosofia sia il presente libro supposto1. E le cause, ch’egli dovrà cercare, sono quelle stesse che furono notate da Pietro di Dante: e nella causa materiale egli dovrà distinguere il soggetto secondo il senso letterale da quello secondo il senso allegorico; e nella formale, la forma del trattare da quella del trattato. Diremo noi che Francesco da Buti si ripetesse servilmente questi precetti quando egli scriveva che nelli principii delli Autori si richiede di manifestare tre cose principalmente, cioè le cagioni, et appresso la nominazione e poi la supposizione dell’opera?2. O ci farà sentir meno la ripetizione di questi precetti Benvenuto da Imola perchè egli li pone spaziandosi in più largo ragionamento? 3. Ma queste erano le norme, queste le leggi, alle quali, secondo l’avvertenza fatta dal Boccaccio e dal Buti, gli espositori dei libri avessero a conformarsi; e Dante stesso ne aveva già dato l’esempio a’ suoi futuri commentatori, s’egli, rendendosi conto del fatto suo, e volendo che altri avesse lume a veder bene addentro nella terza Cantica del suo poema, diceva a Can Grande della Scala che nel principio di ogni opera dottrinale sono da cercare queste sei cose: il soggetto, l’agente, la forma, il fine, il titolo del libro, e il genere di filosofia4. Ed ecco le quattro cause, e le altre due cose,
- ↑ Pag. 3.
- ↑ Pag. 5, seg.
- ↑ Pag. 13, e seguenti della traduzione del sig. Tamburini. Imola 1833.
- ↑ V. questa Epistola interpretata dal Padre Giuliani, pag. xxiii, seg. — Savona 1836.