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i n f e r n o iv. |
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vesse li occhi d’intorno. Dritto levato; cioè levato in piè. Questo è naturale che chi è svegliato subitamente si riposa prima: chè volendosi levare subito cadrebbe; e poi che s’è riposato si leva in piè, e così dice che fece l’autore, e mosse, poi che fu levato, li occhi intorno, e fiso riguardai; cioè attentamente, Per conoscer lo loco, dove io fossi. Questo era convenevole, perchè non si vedea nel luogo dov’era, quando s’addormentò. Questo che allegoricamente l’autore dice di sè si conviene a chi nel mondo è uscito del peccato, e venuto alla contemplazione e dispregio di quello per la grazia illuminante: chè com’elli à addormentata la sensualità al mondo, e alla carne; così lo svegli poi lo tuono delli infiniti guai; cioè tumulto de’ viziosi e li loro lamenti a considerare la viltà del peccato, e le sue specie, e le pene a loro convenienti, sicchè per questo stia fermo nel primo proposito buono. E notantemente dice che svegliato fu dal tuono de’ guai dell’abisso, perchè le miserie de’ peccatori e li loro guai trassono la sua sensualità, che stava come addormentata quanto alle cose del mondo, a comprenderle, et a considerarle; e questo dice l’autore per insegnare ancora alli altri che modo debbano tenere, quando fossono in sì fatto stato. Ver’è che in su la proda mi trovai Della valle d’abisso dolorosa. Qui manifesta l’autore il luogo ove si trovò, e dice che si trovò di là dal fiume in su la proda della valle dolorosa; cioè piena di dolore dell’abisso; cioè della profondità dell’inferno; e per questo possiamo comprendere che l’autore finge che insino a qui l’inferno dalla sua entrata stesse come una piaggia, e quivi cominciasse la ripa a calare nel primo cerchio, e quello avesse una ripa che calasse nell’altro infino all’ultimo, che è nel profondo. Che tuono accoglie d’infiniti guai. Qui manifesta qual tuono fosse quello che lo svegliò, dicendo che quella proda accoglie tuono di guai infiniti; cioè di guai che non deono mai aver fine, o innumerabili, a mostrare la grandissima moltitudine de’ dannati: però che infinito alcuna volta si piglia sanza numero; rimbombava quivi e fa come uno tuono1: fu quello che lo svegliò. Oscura, profonda era, e nebulosa. Descrive com’era fatta la valle, dicendo, ch’era oscura in quanto era sanza luce; profonda, in quanto era molto cupa, infino al centro della terra; nebulosa; cioè piena di nebbie2 della terra. Sono esalazioni umide che fanno nebbia; ma l’autor pone queste cose, benchè sieno convenienti al luogo, secondo allegorico intelletto: però che nell’inferno è privazione di chiarità, perchè non v’è niuno degno di loda; ma di biasimo: ancora v’è profondità di malivolenzia, e d’iniquità, et evvi nebbia; cioè ignoranzia d’intelletto, e questo medesimo s’intende
- ↑ C. M. uno tuono, e questo tuono fu quello
- ↑ Altrimenti - nebule