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133Tutti lo miran, tutti onor li fanno.
     Quivi vid’io Socrate e Platone,
     Che innanzi alli altri più presso li stanno.
136Democrito che il mondo a caso pone,
     Diogenes, Anassagora, e Tale1,
     Empedocles, Eraclito, e Zenone.
139E vidi il buono accoglitor del quale,
     Dioscoride dico; e vidi Orfeo,
     Tullio e Lino, e Seneca morale,
142Euclide geometra, e Tolomeo,
     Ipocrate, Avicenna, e Galieno,
     Averrois che il gran commento feo2.
145Io non posso ritrar di tutti appieno,3
     Però che sì mi caccia il lungo tema,
     Che molte volte al fatto il dir vien meno.
148La sesta compagnia in due si scema:
     Per altra via mi mena il savio Duca,
     Fuor della queta nell’aura che trema:
151E vengo in parte, ove non è che luca.


  1. v. 137. Tale per Talete all’imitazione de’ Latini. Così dee intendersi di Dido, draco, in cambio di Didone, dracone e simili. E.
  2. v. 144. Per una tale proprietà di cadenza gli antichi aggiugnevano una sillaba alla terza persona singolare del perfetto indicativo, donde feo, udìo, sentie, moritte ed altre. E.
  3. v. 145. C. M. Io non posso ridir




C O M M E N T O


Ruppemi l’alto sonno ec. In questo quarto canto l’autore tratta del primo cerchio d’inferno, e fa principalmente due cose: imperò che prima pone come trovò una selva piena di spiriti, in questo primo cerchio; nella seconda, come truova uno nobile castello, in questo primo cerchio ancora, et è la seconda, quivi: Non era lunga ec. Questa prima che sarà la prima lezione si divide tutta in cinque

Inf. T. I. 8