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c a n t o    iv. 111

76Et elli a me: L’onrata nominanza,
     Che di lor suona su nella tua vita,
     Grazia acquista nel Ciel, che sì li avanza.
79In tanto voce fu per me udita:
     Onorate l’altissimo poeta:
     L’ombra sua torna, ch’era dipartita.
82Poi che la voce fu restata, e queta,
     Vidi quattro grandi ombre a noi venire:1
     Sembianza aveano nè trista, nè lieta.
85Lo buon Maestro cominciò a dire:
     Mira colui con quella spada in mano,
     Che vien dinanzi ai tre, sì come sire.
88Quelli è Omero poeta sovrano:
     L’altro è Orazio satiro, che vene2,
     Ovidio è il terzo, e l’ultimo Lucano.3
91Perocchè ciascun meco si convene
     Nel nome, che sonò la voce sola,
     Fannomi onore, e di ciò fanno bene.
94Così vid’io adunar la bella scola
     Di quei Signor dell’altissimo canto,4
     Che sopra li altri, come aquila, vola.
97Da ch’ebber ragionato insieme alquanto,
     Volsersi a me con salutevol cenno;
     E il mio Maestro sorrise di tanto:
100E più d’onor ancora assai mi fenno,
     Ch’ei sì mi fecer della loro schiera,
     Sì ch’io fu’ sesto tra cotanto senno.

  1. v. 83. quattro ombre grandi
  2. v. 89. Vene, convene e più sotto lumera mostrano l’uso di fognare l’i presso gli antichi. E.
  3. v. 90. C. M. e ultimo è Lucano.
  4. v. 95. Di quel Signor