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[v. 34-42] | c o m m e n t o | 89 |
spezialità neuna di peccato; ma bene ci è dannazione, e questo è ragionevole: imperò che Cristo disse nel Vangelio: Qui non est mecum, contra me est, et qui non colligit mecum, dispergit. Tiene bene la Chiesa che vi fossono di quelli, che fossono più colpevoli e meno, e li più colpevoli sieno nel profondo dell’inferno, e li meno sieno nell’aere, e sono quelli che fanno illusione alli uomini. Assegna la sua ragione, perchè sieno posti quivi, la quale è apparente: Caccianli i Ciel, per non esser men belli: però che in cielo non può stare cosa che non sia perfetta, Nè lo profondo Inferno li riceve, Ch’alcuna gloria i rei avrebber d’elli; cioè che sarebbe alcuna gloria e consolazione a’ rei angeli avere mischiati seco questi così fatti. Ma chi riguarda l’allegorica menzione vedrà essere vera la sentenzia dell’autore, e però appare che l’autore ebbe altra intenzione che pur quella della lettera del testo: imperò che, intendendo di quelli del mondo che non fanno nè bene, nè male quanto alla civilità del mondo: imperò che quanto a Dio chi non fa bene, fa male, è vero che sono mischiati con li demoni men colpevoli: imperò che meno colpevole è chi non fa nè bene, nè male quanto al giudicio mondano, che colui che fa male solamente. Et è vero che quelli così fatti sono nell’entrata dello inferno a rispetto di coloro che fanno pur male, che si possono dire essere nel profondo, quanto alla condizione e quanto alla obbligazione. Imperò che, se la virtù leva in alto l’animo umano, e il vizio el1 manda a basso, chi è più vizioso è più basso, e chi è men vizioso è men basso; sicchè chi non fa bene, nè male, è men basso che colui che fa pur male, sicchè ben si può dire che sia nella superficie della bassezza, che è significata per l’entrata dell’inferno. E quanto ad obbligazione, come li uomini fanno il peccato, sono obbligati alla pena, et a maggior pena è obbligato colui che fa maggior peccato che colui che fa minore; e però si può dire che chi in questo mondo fa più male sia obbligato a maggior pena, che colui che non fa nè bene, nè male, e secondo questa obbligazione si può dire che sia già nell’inferno, qual più basso, e qual meno, secondo la sua colpa.
C. III - v. 43-51. In questi tre ternari l’autore pone una sua domanda della pena ch’essi sostengono2, e la risposta che sopra essa li fa Virgilio. Dimanda adunque prima Dante, dicendo: Et io; cioè Dante, s’intende, domanda3 Virgilio: Maestro, che è tanto greve A lor; cioè grave a questi tristi, de’ quali è detto di sopra, che lamentar li fa sì forte; come manifestato fu in quelli nove segni di pene.