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[v. 13-21] | c o m m e n t o | 85 |
ch’entrate. Non vuol già dire l’autore che li paia duro l’intelletto delle parole; ma che li apparea dura sentenzia questa, sicchè ne avea paura, come apparirà per la risposta di Virgilio. Ora qui è da considerare, che questa porta che l’autore finge litteralmente all’inferno, allegoricamente s’intende il principio della vita viziosa che mena l’uomo a disperazione in questo mondo: imperò che allegoricamente di ciò intese l’autore, della quale ciascuno può leggere nella mente sua quello che è scritto di sopra la porta; cioè che per essa si va nella città dolente che è la congregazione delli disperati, e per essa si va nell’eterno dolore: imperò che in tal vita è dolore sempre e continuo, e dopo la vita sua nel dolore perpetuo, e per essa si va tra la perduta gente e che per giustizia fu fatto da Dio1 chi entra in tal vita non uscisse mai, e che questa parte punitiva di giustizia fu fatta da Dio siccome2 con le cose create primamente: imperò che infino allora volle questo; sì che questa creazione si dee intendere, secondo la volontà divina la quale sempre è giusta: imperò che, secondo atto non fu, se non quando li uomini cominciarono a pigliar tal città3: e che queste cose ciascuno che le considera le vede scritte nella mente sua di colore scuro; cioè d’apparenzia che genera oscurità nella mente: e che la sensualità pensando sopra questo ne spaurisce, e però ricorre a Virgilio; cioè alla ragione.
C. III - v. 13-21. In questi tre ternari finge l’autore che Virgilio avvedutosi della sua paura, lo confortò e tirollo dentro. 4 Et elli; cioè Virgilio, a me; cioè Dante disse, come persona accorta; che s’avide ch’io era invilito: Qui si convien lasciare ogni sospetto; cioè in questo luogo; cioè nell’entrata si vuole lasciare ogni sospetto di paura. Ogni viltà convien, che qui sia morta; cioè ogni viltà d’animo conviene che in questo incominciar si lasci, e per questo si può comprendere che il dubitar di Dante fu per paura di quelle parole ch’erano scritte, e massimamente per quello ultimo versetto: Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate. Aggiugne Virgilio per confortar Dante: Noi siam venuti; cioè tu et io, al loco ov’io t’ho detto; cioè ov’io ti dissi nel primo canto, Che tu vedrai le genti dolorose; cioè li dannati, sicchè la città dolente, e l’eterno dolore, e la perduta gente, e lasciar la speranza s’intende per loro, e non per te. Ch’ànno perduto il ben dell’intelletto; cioè di Dio, il quale è bene dell’intelletto umano, lo quale tanto è beato quanto lui pensa e lui intende. E poichè la sua mano alla mia pose; cioè poi che mi prese per la mano, con la sua mano. Con lieto volto; che mostra non paura ma sicurtà, ond’io mi confortai; cioè per la