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76 | i n f e r n o ii. | [v. 127-144] |
date da Dio come mostrato è di sopra, ti dovrebbono dare ardire e franchezza. E il mio parlar tanto ben t’impromette? Quanto apparve di sopra nel primo canto ove disse: Ond’io per lo tuo me’ penso e discerno, ec. Imperò che tutte queste cose ti dovrebbono dare ardire e gagliardia.
C. II - v. 127-142. In questi ultimi cinque ternari, et uno versetto ultimo, l’autore dimostra per una similitudine come fu rinvigorito per lo conforto di Virgilio e ritornato nel primo proponimento, onde dice: Quali i fioretti, dal notturno gielo Chinati e chiusi, poi che il sol l’imbianca, Si drizzan tutti aperti in loro stelo. Qui pone l’autore la prima parte della similitudine; cioè come li fioretti che stanno chinati e chiusi per lo gielo della notte, s’aprono e drizzansi in sul loro gambo, poi che ’l sole l’imbianca, e per questo appare che la bianchezza s’ingeneri nelli fiori dal sole, come veggiamo che imbianca la cera che è stata la notte alla rugiada. Tal mi fec’io di mia virtute stanca. Qui è l’altra parte della similitudine; cioè l’assimigliato. Ogni similitudine à due parti; cioè quello onde si piglia la similitudine e quello che s’assomiglia: posto à la condizione de’ fioretti onde si piglia la similitudine; ora pone la condizione sua che è la cosa assimigliata, dicendo che tal si fece elli della sua virtù stanca Quali i fioretti ec. Imperò che come il gielo della notte; cioè la paura dell’ignoranza avea chinata e chiusa la sua virtù; così lo caldo del sole e lo splendore; cioè il fervore e la confidenzia del sapere presa dalla grazia di Dio, levò su et aperse la sua virtù nella mente sua. E tanto buon ardir al cor mi corse; cioè a me Dante, Ch’io cominciai, come persona franca. Qui pone l’autore la risposta sua, posta la similitudine, e congratulando a Beatrice e a Virgilio dice: O pietosa colei, che mi soccorse; cioè fu Beatrice, E tu; cioè Virgilio, fosti cortese, ch’ubbidisti tosto Alle vere parole che ti porse! Beatrice. E per questo mostra la ragione sua essere stata ubbidiente per quel che finge di Virgilio, e mostra quanto sia giovato il conforto di Virgilio, dicendo: Tu m’ài con desiderio il cor disposto; a me Dante, Sì al venir, con le parole tue; cioè di te Virgilio, Ch’io; cioè Dante, son tornato nel primo proposto; cioè di seguirti, per la via che dicesti. Or va, ch’un sol volere è d’amendue; cioè di te Virgilio, e di me Dante: la volontà mia è una medesima con la tua. Tu; Virgilio, se’ duca, tu signore, e tu maestro. Bene istà l’uomo quando la sensualità si lascia guidare alla ragione. Così li dissi; a Virgilio, e poi che mosse fue; Virgilio, Entrai; io Dante, per lo cammino alto; cioè profondo, secondo la grammatica, e silvestro; cioè salvatico; cioè per lo cammino dell’inferno, l’entrata del quale soggiugne nel seguente canto.