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112Venni qua giù del mio beato scanno,
Fidandomi del tuo parlare onesto,
Ch’onora te, e quei ch’udito l’ànno.
115Poscia che m’ebbe ragionato questo,
Li occhi lucenti, lagrimando, volse:
Perchè mi fece del venir più presto:
118E venni a te così, com’ella volse:
Dinanzi a quella fiera ti levai,
Che del bel monte il corto andar ti tolse.
121Dunque che è? perchè, perchè, ristai?
Perchè tanta viltà nel core allette?1
Perchè ardire e franchezza non ài,
124Poscia che tai tre Donne benedette
Curan di te nella corte del Cielo,
E il mio parlar tanto ben t’impromette?
127Quali i fioretti, dal notturno gielo
Chinati e chiusi, poi che il sol l’imbianca,
Si drizzan tutti aperti in loro stelo;
130Tal mi fec’io di mia virtute stanca,
E tanto buon ardir al cor mi corse,
Ch’io cominciai, come persona franca:
133O pietosa colei, che mi soccorse,
E tu cortese, ch’ubbidisti tosto
Alle vere parole che ti porse!
136Tu m’ài con desiderio il cor disposto
Sì al venir, con le parole tue,
Ch’io son tornato nel primo proposto.
- ↑ v. 122. allette, alletti. In sul nascere del nostro idioma fu tentato di acconciare tutti i verbi ad una sola coniugazione, e finire le persone singolari in eguale maniera, preso a modello la seconda de’ Latini; quindi ame, crede, sente ec. E.