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SONETTO LXXXVI


Quando ’l gran lume appar nell’ Oriente,
   Che ’l negro manto della notte sgombra,
   E dalla terra il gelo, e la fredd’ ombra
   Dissolve, e scaccia col suo raggio ardente;
Dell’ usate mie pene alquanto lente,
   Per l’ inganno del sonno, allor m’ ingombra,
   Ond’ ogni mio piacer risolve in ombra,
   Quando da ciascun lato ha l’ altre spente.
O viver mio nojoso, o avversa sorte!
   Cerco l’ oscurità, fuggo la luce,
   Odio la vita ognor, bramo la morte.
Quel, ch’ agli occhi altrui nuoce, a’ miei riluce,
   Perchè chiudendo lor, s’ apron le porte
   Alla cagion, ch’ al mio Sol mi conduce.


SONETTO LXXXVII


Occhi l’ usanza par, che vi sospinga
   Al pianger vostro, ed all’ altrui dolore;
   Mirando la cagion, cresce il vigore,
   Non la mirando voi, che vi lusinga?
Anzi scorger ne par, che non la finga,
   Ma sempre interna ne dimostra Amore
   L’ immagin bella, e di mandarla al core
   Sì bella, e viva a forza ne costringa.
Anzi del veder vostro cieco insano
   Per una immagin finta il cor s’ infiamma
   All’ usato desir con falsa speme.
Forse il cor crede, e noi miriamo in vano,
   Ma questa è colpa ugual, ei nella fiamma,
   E noi nel pianto la purghiamo insieme.