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SONETTO LXXVIII


Quand’ io son tutta col pensier rivolta
   Ai raggi, al caldo del mio vivo Sole,
   A quelle chiare luci ardenti e sole,
   Ch’ apparver qui tra noi sol’ una volta;
L’ alma vede la sua sì bella, e ascolta
   Sì vere le divine alte parole,
   Che del legame suo s’ affligge e dole,
   Non che sia quella dal suo nodo sciolta.
Non piango, che ’l valor, l’ alma virtute
   Degna scala del Ciel l’ abbian gradito,
   Ove dell’ alta speme il frutto coglie;
Ma che tardi a venir la mia salute,
   Sicch’ io vegga ’l bel loco, ov’ egli è gito,
   E di vita, e di duol Morte mi spoglie.


SONETTO LXXIX


Qui fece il mio bel Sole a noi ritorno
   Di Regie spoglie carco, e ricche prede:
   Ahi con quanto dolor l’ occhio rivede
   Quei lochi, ov’ ei mi fea già chiaro il giorno!
Di mille glorie allor cinto d’ intorno,
   E d’ onor vero alla più altiera Sede,
   Facean dell’ opre udite intera fede
   L’ ardito volto, il parlar saggio adorno.
Vinto da’ prieghi miei poi mi mostrava
   Le belle cicatrici, e ’l tempo, e ’l modo
   Delle vittorie sue tante, e sì chiare.
Quanta pena or mi dà, gioja mi dava,
   E in questo, e in quel pensier piangendo godo
   Tra poche dolci, e assai lagrime amare.