Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
37 |
SONETTO LXXII
Che con l’alta virtù dei raggi suoi,
Pria non v’accese, che mill’anni e poi
Voi sareste più chiaro, ei più lodato? 4
Il nome suo col vostro stile ornato,
Che dà scorno agli antichi, invidia a noi,
A mal grado del tempo avreste voi
Dal secondo morir sempre guardato. 8
Potess’io almen mandar nel vostro petto
L’ardor, ch’io sento, e voi nel mio l’ingegno,
Per far la rima a quel gran merto eguale. 11
Che così temo ’l Ciel non prenda a sdegno
Voi, perchè preso avete altro soggetto;
Me, ch’ardisco parlar d’un lume tale. 14
——
SONETTO LXXIII
L’ali sì preste, ch’a lui non contende,
Lo spazio, il giunger tosto al Sol, ch’accende
Fra le vane speranze il voler mio. 4
Potess’io almen tuffar nel cieco oblio
La memoria del bene, ond’ora prende
Tal forza ’l duol, che ’l cor non sempre intende,
Quanto lunge dal ver vola il desio. 8
Che pur qui va cercando i chiari raggi
Negli occhi amati, nè ragion l’appaga,
Che le dimostra più lucenti il Cielo. 11
Ma ’l primo oggetto segue, e quei viaggi
Son troppo erti al mio piè, finchè la vaga
Aura vital sostien quest’uman velo. 14