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SONETTO LX
Così l’alta mia luce a me sparita,
È per quel, ch’io ne speri, al Ciel salita,
Ma miracol non è, da tal si vuole. 4
E se pietà ancor può, com’ella suole,
Ch’indi per Lete esser non può sbandita,
E mia giornata ho co’ suoi piè fornita,
Forse (o che spero) il mio tardar le duole. 8
Piagner l’aere, e la terra, e ’l mar dovrebbe
L’abito onesto, e ’l ragionar cortese;
Quando un cor tante in se virtuti accolse? 11
Quanto la nuova libertà m’increbbe,
Poichè morto è colui, che tutto intese,
Che sol ne mostrò il Ciel, poi se ’l ritolse. 14
——
SONETTO LXI
Nell’opra sua più cara, e più gradita;
Quanto discopre il Sol, quanto si addita,
Che del poter divin ne faccia fede. 4
Dispregia il Ciel, poi ch’altamente riede
Quella luce immortale ed infinita,
Per nostra indegnitate a noi sparita,
Che ’n Cielo ha paragon, qui tutto eccede. 8
Or il chiamarlo ognor, nè ’l piagner sempre,
Fa minor’ il dolor, maggior la speme,
Morto è il rimedio allor che nacque il danno. 11
E s’avvien, che ’l martir non mi distempre,
La cagion s’appresenta, e ’l danno insieme,
Ond’il rifugio istesso apporta inganno. 14