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SONETTO LVI.
De’ nojosi pensier, ch’apportan gli anni
Allor er’io, che in tenebre, e ’n affanni
Mi lasciasti, mio Sol, tornando al Cielo. 4
Indegna forse fui del caldo zelo,
Onde tu acceso apristi altero i vanni,
Infiammando a schivar l’ire, e gl’inganni
Del mondo, e spiegar teco il mortal velo. 8
Tu volasti leggiero, i’ sotto l’ali,
Che tu spiegavi, avrei ben preso ardire
Salir con te lontana ai nostri mali. 11
Lassa, ch’io non fui teco al tuo partire;
E le mie forze senza te son tali,
Ch’or mi si toglie, e vivere, e morire. 14
SONETTO LVII.
Con maggior vena un largo rivo insorge,
Quando lieta stagion d’intorno scorge
L’alma, c’ha dentro un lagrimoso verno. 4
Quanto più luminoso il Ciel discerno,
Ricca la terra, e adorno il mondo porge
Le sue vaghezze; il cor via più s’accorge,
Che ’l bel di fuor raddoppia il duolo interno. 8
Ristretta in luogo oscuro, orrido e solo,
Ascosa, e cinta dal proprio martire,
Legati i sensi tutti al bel pensiero. 11
Con veloce, spedito, e fiero volo
Venir la mente al mio sommo desire,
Oggi è quanto di ben nel mondo spero. 14