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SONETTO XLVI


Quanto è tolto al desio rende un pensiero
   Di dolce frutto a tanta mia fatica,
   L’ un mi consuma il cor, l’ altro il nodrica;
   Questo fa il viver grave, e quel leggiero.
Scorge falso il pensier, quanto per vero
   Dimostrò il mondo, ond’ or la pena antica
   Con nuovo freno allenta, e fammi amica
   Del ben, ch’ ei gode; io per suoi pregi spero.
L’ altro con sproni ardenti s’ appresenta
   Vago dell’ alme luci, e del gioire,
   Che nodria l’ alma, mentre ei visse in terra.
Quel fa la gloria viva, e questo spenta,
   L’ un guarda alla cagion, l’ altro al martire,
   Ma al fin l’ alto pensier vince la guerra.


SONETTO XLVII


Se ’l mio bel Sol, e l’ altre chiare stelle,
   Che ’l natio nido mio, l’ almo paese
   Adornan sì, che dell’ antiche imprese
   Le moderne opre lor non fur men belle.
Mi vedess’ io d’ intorno; e queste, e quelle,
   Formerian vago Ciel, largo e cortese,
   Contra quest’ altro irato, e l’ empie accese
   Sue luci a’ miei desir sempre rubelle.
Con ciascuna lor vita, invide Parche,
   Mill’ altre ne trovaste, ed anzi tempo,
   Che al chiaro stame suo viveano avvolte.
Ond’ io non vivo già, ma sol m’ attempo
   Per la dolce memoria, ch’ elle scarche
   Del mondo, al Ciel volar libere e sciolte.