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SONETTO XXXVI.


M
orte col fiero stral se stessa offese,

   Quando oscurar pensò quel lume chiaro;
   Ch’oggi è più vivo in Ciel, fra noi più raro,
   Ma al bel morir l’immortal gloria accese. 4
Onde irata ver me l’arco riprese,
   Poi vide essermi dolce il colpo amaro,
   Nè ’l diè, ma col morir vivendo imparo
   Cruda guerra con lei, strane contese. 8
S’io cerco darle in man la mortal vita,
   Perchè di sue vittorie resti altera,
   Ed io del mio finir lieta e felice. 11
Per far nova vendetta, empia, inaudita,
   Mi lascia viva in questa morte vera,
   S’ella mi sdegna, or che sperar mi lice? 14


SONETTO XXXVII.


A
ppena avean gli spirti intera vita;

   Quando il mio cor prescrisse ogn’altro oggetto,
   E sol m’apparve il bel celeste aspetto,
   Della cui luce io fui sempre nodrita. 4
Qual dura legge ha poi l’alma sbandita
   Dal grato albergo, anzi divin ricetto?
   La scorta, il lume, e ’l giorno l’è interdetto;
   Ond’or cammina in cieco error smarrita. 8
Soli Natura, e ’l Ciel con pari voglia
   Ne legò insieme; Ahi quale invido ardire,
   Quale inimica forza ne disciolse? 11
Se ’l viver suo nodrì mia frale spoglia,
   Per lui nacqui, era sua, per se mi tolse;
   Nella sua morte ancor dovea morire. 14