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SONETTO XXX


Quella stessa ragion, che pria raccolse
   All’ altiera mia luce i miei pensieri,
   Dovria cangiarli di fallaci in veri,
   E ridurmi nel grado, onde mi tolse.
Ella d’ un saldo laccio il cor m’ avvolse,
   Non fur li sensi semplici o leggieri;
   Ella sostiene ancor quei nodi intieri
   Sì, che ’l colpo mortal non li disciolse.
Ella mi fe seguir gli ardenti lumi,
   Spregiando libertate, e ’n quel bel stato,
   Passar con dolce speme i giorni amari.
Ma di speranza io priva, quei costumi
   Dovria mutar in più securi e rari
   Desiri omai, vincendo il Cielo irato.


SONETTO XXXI


Se dal dolce pensier riscuoto l’ alma
   Per bassi effetti dell’ umana vita,
   Riman dal corso suo, quasi smarrita
   Nave, ch’ affretta in perigliosa calma.
Or come avvien, che questa fragil salma
   Di mortal gonna, per mio danno ordita,
   La tiri in terra, essendo in ciel salita
   Con la sua luce gloriosa ed alma?
Ivi s’ appaga, si nodrisce e vive,
   E l’ abitar in questo carcer sempre
   Le saria grave, anzi pur viva morte.
Com’ è, che minor nostro maggior prive
   Del vero oggetto, e cangi l’ alta sorte
   L’ alma, per star fra sì dubbiose tempre?