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SONETTO XXII


QUando Morte tra noi disciolse il nodo,
   Che prima avvinse il Ciel, Natura e Amore,
   Tolse agli occhi l’ oggetto, il cibo al core,
   L’ alme congiunse in più congiunto modo.
Quest’ è il legame bel, ch’ io pregio e lodo,
   Dal qual sol nasce eterna gloria e onore;
   Non può il frutto cader, nè langue il core
   Del bel giardin, ov’ io piangendo godo.
Sterili i corpi fur, l’ alme feconde,
   E ’l suo valor quì col mio nome unito
   Mi fa pur madre di sua chiara prole,
La qual vive immortal, ed io nell’ onde
   Del pianto son, perch’ ei nel Ciel salito
   Vinse il duol la Vittoria, ed egli il Sole.
 


SONETTO XXIII


Or sei pur giunto al fine, o spirto degno,
   Del tuo sempre d’ onor desire acceso;
   T’ era il viver tra noi gravoso peso,
   Che ’l Ciel del grande ardir fa vero il segno.
Tutte le cure basse avesti a sdegno
   Per grado di valor in alto asceso;
   L’ altiera mente avea qua giù compreso
   Quel, ch’ or gode là su nel santo regno.
Non ebbe loco in te basso pensiero,
   Con sproni alla ragion, con freno ai sensi
   Calcasti con lo spirto il mortal velo.
Col lume di virtù nel lume vero
   Scorgesti gli occhi, or nell’ eterno accensi,
   Dov’ io spero venir, pria cangi il pelo.