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SONETTO XX


Quanto s’ interna al cor più d’ anno in anno
   L’ amorosa mia vista, men m’ offende;
   La salute mi tolse, e al fin la rende
   Quel bel principio, ch’ è rimedio e danno.
Dilettosa fatica, utile inganno,
   Ch’ accorta d’ esso l’ alma si raccende
   A girle dietro; e dell’ error, ch’ intende,
   Si vive lieta, e del suo grave affanno.
Una viva ragion prima raffrena
   Il duol, poi lega i sensi; ed ella sciolta
   Con l’ alto mio pensier volano insieme.
E mentre in grembo a lor men vo raccolta,
   Sì poco il mortal peso l’ alma preme,
   Che se durasse, io sarei fuor di pena.


SONETTO XXI


De’ gravosi pensier la turba infesta
   Signoreggia sì ’l cor, la mente, e l’ alma,
   Che questa vita, e la noiosa salma,
   L’ una m’ è grave omai, l’ altra molesta.
E la cogion, ch’ al mio scampo si presta
   Fu già, che d’ ogni guerra intera palma
   Mi porse; or nella luce altera ed alma
   Si vive, e lascia me dogliosa e mesta.
Tempo ben fora, che dal martir vinta,
   O dal soccorso suo chiamata al Cielo,
   Avesser fin sì lunghi e amari giorni.
La propria man dal duol più volte spinta
   Fatto l’ aria; ma quell’ ardente zelo
   Di trovar lui fa pur, ch’ a dietro io torni.