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SONETTO XVIII.
Ch’essendo spenta, in me vive l’ardore;
Nè temo nuovo caldo, che ’l vigore
Del primo foco mio tutt’altri estinse. 4
Ricco legame a bel giogo m’avvinse,
Tal che disdegna umil catena il core;
Nè più speranza vuol, nè più timore;
Ch’un sol incendio l’arse, un nodo strinse. 8
Un sol dardo pungente il petto offese
Sì, ch’ei riserba la piaga immortale
Per schermo contra ogni amoroso impaccio. 11
Amor le faci spense, ove l’accese,
L’arco spezzò all’avventar d’un strale,
Sciolse ogni nodo all’annodar d’un laccio. 14
SONETTO XIX.
Dal carcer tuo soave, nè disciolsi
Dal dolce giogo il collo, nè ti tolsi
Quanto dal primo dì l’alma ti diede. 4
Tempo non cangiò mai l’antica fede;
Il nodo è stretto ancor, com’io l’avvolsi;
Nè per l’amaro frutto, ch’ognor colsi,
L’alta cagion men cara al cor mi riede. 8
Visto hai quanto in un petto fido, ardente
Può far quel caro tuo più acuto dardo,
Contro del cui poter Morte non valse. 11
Fa omai da te, che ’l nodo si rallente,
Che a me di libertà già mai non calse,
Anzi di ricovrarla or mi par tardo. 14