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SONETTO X.
Che ’l proprio Sol ancor tenebre rende?
Non pria il veggio apparir, che mi raccende
Desio di riveder mia vaga luce. 4
Quanto più gemma, ed or tra noi riluce,
L’inferma vista mia più se n’offende;
E se dolce armonia l’orecchia intende,
Pianti e sospiri al fin nel cor produce. 8
S’io verde prato scorgo, trema l’alma
Priva di speme: e se fior varii miro,
Si rinverde il desio del mio bel frutto, 11
Che Morte svelse, ed a lui grave salma
Tolse in un breve e placido sospiro,
Coprendo il mondo, e me d’eterno lutto. 14
SONETTO XI.
Qual occhio da soverchia luce offeso,
E qual da cieca invidia tinto e preso,
Non scorser del gran lume il raggio intero. 4
Or c’ha lasciato il mondo freddo e nero,
Di bella voglia ogn’alto spirto acceso
L’adora, e molti han con lor danno inteso,
Che ’l proprio error non li scoperse il vero 8
Valor, a cui la Morte fama aggiunge;
E se ’l tempo vorace i nomi asconde,
Sua gloria a questa legge non si strinse. 11
L’opre chiare d’altrui non ben seconde
Seguon le sue tant’alto, e sì da lunge
Lo scorge quei, che più l’ardir sospinse. 14