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SONETTO CCII


Felice il cieco nato a cui s’aperse
   La luce al tempo del gran Lume vero,
   E la virtù divina al core altero
   Altro splendor maggior dentro scoverse.
Mentre natura il giorno a lui coverse
   Del nostro tenebroso aspro sentero
   Era, come li parve, ombroso e nero,
   Sinché ’l Sol vivo ad ambiduo S’offerse.
Di quei si scrive gloriosa istoria
   Che coi gravi martiri e con la vita
   Fer chiaro il nome del superno Duce;
E questi fe’ del Ciel nota la gloria
   E la sua fama qui fra noi gradita
   Sol con ricever l’una e l’altra luce.


SONETTO CCIII


Qual edera a cui sono e rotti ed arsi
   Gli usati suoi sostegni, onde ritira
   Il vigor dentro e intorno si raggira,
   Né cosa trova u’ possa in alto alzarsi;
Tal l’alma ch’ha i pensier qui in terra sparsi
   Sempre s’avolge fuor, dentro s’adira,
   Perch’al bel segno, u’ per natura aspira,
   Sono gli appoggi umani e bassi e scarsi
Mentre non corre al glorioso legno
   De la nostra salute, ove erga e annodi
   Le sue radici infin a l’alta cima;
Avolta, unita a quel sacro sostegno,
   Vuol rivederla il Padre, ove Egli in prima
   L’avea legata con sì dolci nodi.