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SONETTO CLXXX


Per far col seme Suo buon frutto in noi
   E bagnar del mio cor l’arida terra
   Dona dei rivi Suoi, che or apre or serra,
   La chiave il Fonte eterno a un sol di voi.
Ei guarda prima e ben distingue poi
   Qual fango il sacro germe in me sotterra,
   E quel purga e dissolve, e mai non erra
   La fede umil che regge i pensier suoi.
Con tanta esperienzia e con si grave
   Modo rivolge l’acqua, e sì a misura,
   Che ove la macchia è impressa ivi si stende.
Diede per quasi disperata cura
   L’aspro mio petto al suo spirto soave
   Colui che solo i gran segreti intende.


SONETTO CLXXXI


Io non sento che in Ciel, dove è verace
   Tesoro e pieno ben, piena allegrezza,
   S’abbia di dominar sete o vaghezza,
   Ma d’amar e di viver sempre in pace.
Piacque al Signor eternamente e piace
   Un amoroso cor che somma altezza
   Trovi ne l’umiltà, vera ricchezza
   In quella povertà ch’ai mondo spiace,
E Lui sol miri in Cielo e in terra i degni
   Specchi a noi della Sua sempre maggiore
   E sopra ogni altra gloriosa luce.
Non stan pensieri oscuri, obietti indegni,
   Ne l’alma in cui scintilla arde d’amore;
   Si puro e di tal Sol raggio riluce!