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SONETTO CXXX
Quel chiaro raggio, da cui fugge ogn’ombra,
Onde la fiamma sua, che scaccia e sgombra
Ben indurato giel, m’accenda il petto.4
L’occhio al ciel s’erge, ma con l’imperfetto
Fosco lume mortal spesso s’adombra;
Cerca l’alma il suo bene, e poi s’ingombra,
Se stessa amando più, che ’l vero obietto.8
Non può la mia finita egra virtute
Scorger i raggi, nè sentir l’ardore
De l’infinito Sol senza il tuo lume.11
Dammi, ti prego, o mia viva salute:
Ch’omai, vestita di celesti piume,
Voli a la vera luce, al vero amore.14
SONETTO CXXXI
Mi parve avere il cor, quand’ebbi letti
I chiari nomi, e quei sì veri detti,
Che an ciascun d’essi d’alta gloria adorno.4
Onde spinta d’amor sovente torno
Là su con l’alma, ove i bei spirti eletti
Lodano i nomi, e sentono gli effetti
Del Sol, che sempre lor fa chiaro giorno.8
E così spesso il prego, che ogni nome
Di questi l’ora mille e mille volte
Mandi entro il vostro cor nove dolcezze,11
Tal ch’io impari a sentir da voi, siccome
Vivono al dolce suon tutte raccolte
L’alme, a tanta armonia mai sempre avvezze.14