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SONETTO XC
Signor, che ’n quella inaccessibil luce,
Quasi in alta caligine. T’ascondi,
Ma viva grazia e chiari rai diffondi
Da l’alto specchio ond’ogni ben traluce,
Genera il tutto ed a fine il conduce
Un solo cenno Tuo, che puri e mondi
Far può gli affetti altrui di sozzi immondi
Pur che l’uom segua Te, suo vero Duce.
Risguarda me, Ti prego, in questo centro
Terrestre afflìtta, e, come sempre sòie,
La Tua pietade al mio scampo proveggia;
Tirami ornai tanto al Tuo regno dentro
Ch’almen lontan mi scaldi il Tuo gran sole,
E poi vicin il picciol mio riveggia.
SONETTO XCI
Dimmi, Lume del mondo e chiaro onore
Del Cielo, or che ’n Te stesso il Tuo ben godi,
Qual virtù Ti sostenne, o pur quai nodi
T’avinser nudo in croce cotant’ore?
Io sol Ti scorgo afflitto, e dentro e fore
Offeso, e grave pender da tre chiodi.
Risponde: «Io legato era in mille modi
Dal mio sempre vèr voi si dolce amore,
Lo qual al morir mio fu schermo degno
Con l’alta ubidienza, ma l’ingrato
Spirto d’altrui più che ’l mio mal m’offese,
Ond’io non prendo il cor pentito a sdegno,
Già caldo e molle, ma il freddo indurato
Ch’a tanto foco mio mai non s’accese».