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SONETTO LXXXVI
Tra gelo e nebbia corro a Dio sovente
Per foco e lume, onde i ghiacci dissolti
Siano e gli ombrosi veli aperti e tolti
Da la divina luce e fiamma ardente;
E se fredda ed oscura è ancor la mente
Pur sono i pensier tutti al Ciel rivolti,
E par che dentro in gran silenzio ascolti
Un suon che sol ne l’anima si sente
E dice: «Non temer, che venne al mondo
Gesù, d’eterno ben largo ampio mare,
Per far leggiero ogni gravoso pondo;
Sempre son Tonde Sue più dolci e chiare
A chi con umil barca nel gran fondo
De l’alta Sua bontà si lascia andare».
SONETTO LXXXVII
Se del mio Sol divino lo splendente
Lume nel mezzo giorno puro altero
Rappresentasse ognora il bel penserò
Fuor d’ogni nube a l’amorosa mente
Uopo non fora mai la cieca gente
Cercar in questo o in quell’altro emispero,
Ne l’amate Sue stelle, un raggio vero
Che ne mostrasse il Suo bel lume ardente.
Ma la nebbia dei sensi a noi sì spesso
L’asconde che l’interna vista inferma
Quel fulgor cerca in altra minor luce,
Ché, se ben come debil non è ferma,
Fermo ò il desio, ch’ad un fin la conduce
Or ne le stelle ed or nel Sol istesso.