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SONETTO LXXXIV


Quando il turbato mar s’alza e circonda
   Con impeto e furor ben fermo scoglio,
   Se saldo il trova il procelloso orgoglio
   Si frange, e cade in se medesma l’onda;
Tal io, s’incontra a me vien la profonda
   Acqua mondana irata, come soglio
   Levo al Ciel gli occhi, e tanto più la spoglio
   Del suo vigor quanto più forte abonda.
E se talor il vento del desio
   Ritenta nova guerra io corro al lido,
   E d’un laccio d’amor con fede attorto
Lego il mio legno a quella in cui mi fido
   Viva pietra, Gesù, si che quand’io
   Voglio posso ad ognor ritrarmi in porto.


SONETTO LXXXV


Se quanto è inferma e da sé vii con sano
   Occhio mirasse l’uom nostra natura,
   Ch’ai crescere e scemar de la misura
   Prescritta al corpo altri s’adopra invano,
De le bisogne sue l’ingegno umano
   Al Padre eterno con la mente pura,
   Che veste i gigli e degli augelli ha cura,
   Porrebbe lieto ogni pensiero in mano.
Ché s’Ei tutto ’l ben nostro ha in Sé raccolto
   Ami solo pur Lui, sol prenda a sdegno
   Volger le luci altrove un gentil core;
Col lato aperto su dal santo legno
   Ne chiama sempre, colmo il petto e ’l volto
   D’infinita pietà, d’immenso amore.