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SONETTO LXXVIII


Se per serbar la notte il vivo ardore
   Dei carboni da noi la sera accensi
   Nel legno incenerito arso conviensi
   Coprirli, sì che non si mostrin fore,
Quanto più si conviene a tutte l’ore
   Chiuder in modo d’ogn’intorno i sensi,
   Che sian ministri a serbar vivi e intensi
   I bei spirti divini entro nel core?
Se s’apre in questa fredda notte oscura
   Per noi la porta a l’inimico vento
   Le scintille del cor dureran poco;
Ordinar ne convien con sottil cura
   Il senso, onde non sia da l’alma spento,
   Per le insidie di fuor, l’interno foco.


SONETTO LXXIX


Veggio in croce il Signor nudo e disteso,
   Coi piedi e man chiodate, e ’l dextro lato
   Aperto, e ’l capo sol di spine ornato,
   E da vii gente d’ogni parte offeso,
Avendo su le spalle il grave peso
   De le colpe del mondo, e ’n tale stato
   La morte e l’aversario stuolo irato
   Vincer solo col cor d’amor acceso.
Pazienza, umiltà, vero obidire
   Con l’altre alme virtù furon le stelle
   Ch’ornaro il sol de la Sua caritade,
Onde ne l’aspra pugna e questa e quelle
   Fecer più chiara doppo ’l bel morire
   La gloria de l’eterna Sua bontade.