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SONETTO LXXVI


Chi temerà già mai ne l’estreme ore
   De la sua vita il mortai colpo e fero
   S’ei con perfetta fede erge il penserò
   A quel di Cristo in croce aspro dolore?
Chi del suo vaneggiar vedrà l’orrore
   Che ci si aventa quasi oscuro e nero
   Nembo in quel punto, pur ch’ai Lume vero
   Volga la vista del contrito core?
Con queste armi si può l’ultima guerra
   Vincer sicuro, e la celeste pace
   Lieto acquistar doppo ’l terrestre affanno;
Non si dee con tal guida e sì verace,
   Che per guidarne al Ciel discese in terra,
   Temer de l’antico oste novo inganno.


SONETTO LXXVII


Veggio turbato il Ciel d’un nembo oscuro
   Che cinge l’aere intorno, e ne promette,
   Con tempeste, con tuoni e con saette,
   Far caldo e molle il terren freddo e duro.
Forse l’alto Motor vuol or con puro
   Foco le sterili erbe ed imperfette
   Arder, si ch’abbian poi l’alme e perfette
   Il vago Suo giardin lieto e sicuro,
Pria che da le radici in tutto svelli
   Questa, di verdi e ben composte frondi
   Ricca, e di vero onor povera pianta,
Perché più che mai lieta rinovelli
   Germi conspersi di rugiada santa,
   Che sian di frutti e fior sempre fecondi.