Pagina:Colonna - Rime, 1760.djvu/169

SONETTO LXXII


S’in me questa fallace e breve speme
   Terrena è spenta, né si cangia il core
   Per minacce, lusinghe, odio, od amore,
   Né brama d’acquistar, né perder teme,
A che con quei che ride e quei che geme
   De’ vari affetti suoi perdo pur l’ore,
   Mossa da naturai mondano errore
   Che in forma di pietà m’assale e preme?
Non è de la rea pianta il primo amaro
   Frutto in me secco, ond’anco il mortai germe
   Mette languido il fior, nera la fronde;
Ma spero ornai che ’l sempre vivo e chiaro
   Foco divino arda il malvagio verme
   Che dentro la radice mia s’asconde.


SONETTO LXXIII


D’oscuro illustre e di falso verace,
   D’iniquo giusto e di nimico erede,
   Ardito per amor, forte per fede,
   Imperioso in guerra, umile in pace,
Render può l’uom la viva eterna face
   Quand’ella signoreggia l’alta sede
   De l’alma, ed indi poi fa ricche prede
   Del tesoro ch’ai senso infermo piace.
Apre la calda e sempiterna luce,
   Cinta de’ raggi, lampeggiando intorno,
   Le nostre folte nebbie, e scioglie il ghiaccio;
E, mentre ch’ella infiamma e ch’ella luce,
   Sicuro altri camina in sì bel giorno
   Che li discopre ogni nascosto laccio.