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SONETTO LII
Se ne die’ lampa il Ciel chiara e lucente
Per metter foco in terra, acciò ch’egli arda
Per nostro ben, qual ghiaccio ne ritarda
Che non s’infiammi ogni gelata mente?
È forte la virtù, l’esca possente,
Largo il Signor, che con dritto occhio guarda
Qual alma è più veloce e qual più tarda
A correr per purgarsi al lume ardente.
Guerra, disunion la viva face
Minaccia, e sfida a morte ed a martiri
Per riunirne poscia a la sua pace;
Accende il pianto in noi, move i sospiri,
Consuma in terra quanto al senso piace
Per adempir in Ciel nostri desiri.
SONETTO LIII
Debile e inferma a la salute vera
Ricorro, e, cieca, al Sol cui sempre adoro
Mi volgo, e nuda bramo il celeste oro,
E vo al Suo foco fredda in pura cera;
E quanto in sé disfida tanto spera
L’alma in quel d’ogni ben vivo tesoro,
Che la può far con largo ampio ristoro
Sana, ricca, al Suo caldo arder sincera,
Onde con questi doni e questo ardire
Lo veggia non col mio ma col Suo lume,
E lo ringrazi col Suo stesso amore.
Non sarò carca alor di van desire,
Ma lieve, armata di celesti piume,
Per rivolar al Ciel col mio Signore.