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SONETTO XLIV


S
’io guardo al mio Signor, la cui grandezza

     Non cape il primo Suo più largo cielo;
     Qui in terra chiuso in picciol mortal velo
     Per far capace noi di tanta altezza;4
Il mondo, i suoi tesori, e la vaghezza,
     Ch’ei scopre agli occhi nostri al caldo e al gelo,
     Quant’ho più lume ognor cangiando ’l pelo,
     Più il mio cor (sua mercè) l’odia e disprezza8
Oh come breve par quel che circonda
     Apollo, all’alma, che già illustra e scalda
     Il vero Sol con luci alme e divine.11
Quanto contiene in se l’alta e rotonda
     Palla celeste con la mente salda,
     Ella usa sol per mezzo al suo bel fine.14


SONETTO XLV


S
pero che mandi omai quel saggio eterno

     Signor, ver noi sol per pietade irato,
     Il santo fulgor suo dal Ciel turbato
     In questo cieco lacrimoso verno,4
E percota la pietra, u’ per governo
     Del mondo ha ’l sacro suo tempio fondato:
     E sparga poi d’intorno in ciascun lato
     Fiamme divine il suo bel foco interno.8
E dal gran colpo quei, che non ben saldi
     Su vi s’appoggian, forse allor cadranno
     Nel mar de’ lor desii, freddo ed oscuro:11
E gli altri, che vi son già fermi e caldi
     Del vivo ardor, che non consuma, avranno
     Modo d’arder più chiaro, e più sicuro.14