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SONETTO XLII


Quando in se stesso il pensier nostro riede
   E poi sopra di sé s’erge la mente,
   Si che d’altra virtù fatta possente
   Vivo ne l’aspra croce il Signor vede,
Sale a cotanto ardir che non pur crede
   Esser Suo caro membro, anzi alor sente
   Le spine, i chiodi, il fele e quella ardente
   Sua fiamma in parte sol per viva fede.
Son queste grazie Sue, non nostre, ond’hanno
   Per regola e per guida quel di sopra
   Spirto, che dove più Li piace spira;
E s’alcun si confida in fragil opra
   Mortai col primo padre indarno aspira
   Ad altro ch’a ricever novo inganno.


SONETTO XLIII


Quando di sangue tinte in cima al monte
   Le belle membra in croce al Ciel scoverse
   Colui che con la vita al Padre offerse
   Le voglie al Suo voler sempre congionte,
Il salutifer sacro divin fonte,
   Anzi il mar de le grazie alor s’aperse,
   E furo entro ’l gran sen l’ire disperse
   Già ne l’antica legge aperte e conte.
Gli angeli ardendo insieme di morire
   Mostrar desio, ma carità maggiore
   Fu giusto freno a sì pietoso ardire,
Dicendo: «Ristorar non può il mio onore
   Altri, né per amor tanto patire,
   Né lavar altro sangue un tanto errore».