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SONETTO XXXVIII
L’Occhio divin, che sempre il tutto vede,
Nulla vide qua giuso in terra eguale
A l’alma, Sua mercé, fatta immortale,
Onde per proprio obietto il Ciel le diede,
Sposandola con pura ardente fede,
E di ricche amorose e leggiere ale
Di speme ornando, acciò per cotai scale
Lieta salisse a la celeste sede.
Poi, quasi forma del Suo segno impressa,
Guardandola, l’accese intorno intorno
Di viva carità mille fiammelle,
Ond’ella, rimirando in quello adorno
Suo ben, Fattor del Cielo e de le stelle,
Spreggia ricchezza, e ’l mondo, e più se stessa.
SONETTO XXXIX
Non dee temer del mondo affanni o guerra
Colui ch’ave col Ciel tranquilla pace;
Che noce il gelo a quel ch’entro la face
Del calor vero si rinchiude e serra?
Non preme il grave peso de la terra
Lo spirito che vola alto e vivace;
Né fan biasmo l’ingiurie a l’uom che tace
E prega più per chi più pecca ed erra.
Non giova saettar presso o lontano
Torre fondata in quella viva pietra
Ch’ogni edificio uman rende securo,
Né tender reti con accorta mano
Fra l’aer basso paludoso e scuro
Contra l’augel che sopra ’l ciel penetra.