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SONETTO XXXVI
Parea più certa prova al manco lato
Tentar se ’l Signor nostro avea più vita
Alor che fece al destro ampia ferita
Sul morto corpo in croce il braccio irato;
Ma, perché sempre intero il cor serbato
Esser devea per quei ch’han Seco unita
L’anima, errò la man cieca e smarrita,
Torcendol dal camin dagli altri usato;
Onde or per cari figli entro i Suoi nidi
Col dolce sangue Suo ne ciba sempre,
E dal fero angue n’assicura e asconde.
Oimè! ch’a tal pensier del pianto Tonde
Devriano alzarne fuor dei nostri lidi
Sovra tutte le basse umane tempre!
SONETTO XXXVII
Chiari raggi d’amor, scintille accese
Di pietà viva escon dal sacro lato,
Scudo divin con tra ’l gran Padre irato
La cui gran forza il nostro error difese.
Fur sempre a l’altrui ben Sue voglie intese,
Nudo per Sé, per noi di gloria armato,
Parco nel viver Suo, chiaro e beato,
Ma ne l’aspro morir largo e cortese.
Porge l’aperta piaga alta e sicura
Letizia, anzi arra de l’eterno riso,
Che con lume divin ferma la fede;
Bella cagion, che in terra Tuoni diviso
Rende a se stesso, e fuor d’ogn’altra cu
ra
Vuol che del pianto il pianto sia mercede.