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SONETTO XXXVI
Tentar, se ’l Signor nostro avea più vita,
Alor che fece al destro ampia ferita
Sul morto corpo in croce il braccio irato.4
Ma perchè sempre intero il cor serbato
Esser devea per quei, ch’an seco unita
L’anima, errò la man cieca smarrita,
Torcendol dal camin dagli altri usato.8
Onde or per cari figli entro i suoi nidi
Col dolce sangue suo ne ciba sempre,
E dal fero angue n’assicura e asconde.11
Oimè! ch’a tal pensier del pianto Tonde
Devriano alzarne fuor dei nostri lidi
Sovra tutte le basse umane tempre!14
SONETTO XXXVII
Di pietà viva escon dal sacro lato,
Scudo divin con tra ’l gran Padre irato,
La cui gran forza il nostro error difese.4
Fur sempre all’altrui ben sue voglie accese,
Nudo per se, per noi di gloria armato,
Parco nel viver suo chiaro e beato,
Ma nell’aspro morir largo e cortese.8
Porge l’aperta piaga, alta e sicura
Letizia, anzi arrà de l’eterno riso;
E con lume divin ferma la fede.11
Bella cagion, che in terra l’uom diviso
Rende a se stesso; e fuor d’ogni altra cura,
Vuol che del pianto il pianto sia mercede.14