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SONETTO XXX
Vedea l’alto Signor, ch’ardendo langue
Del nostro amor, tutti i rimedi scarsi
Per noi s’Ei non scendea qui in terra a farSi
Uomo, e donarci in croce il proprio sangue.
Ivi si vede aver, nudo ed exangue,
Disarmati i nimici, e rotti e sparsi
Lor fieri artigli, e non può più vantarsi
Del primo inganno il rio pestifero angue.
Novo trionfo, e in novo modo nota
Vittoria, che morendo Ei vinse, e sciolse
Legato e preso i suoi contrari nodi.
Ben fu d’ogni superbo orgoglio vota
Questa alta gloria, onde in Se stesso volse
Insegnarne umiltate in tutti i modi.
SONETTO XXXI
Quella che ’l bene e ’l male in si poche ore
Contra il divin precetto intender volse,
Col pomo i lunghi affanni insieme colse,
Onde si piange ancor l’antico errore;
Ma l’alma sacra Vite al grand’odore
Del salutar Suo frutto ne raccolse,
E i secchi rami al verde tronco involse
Che serba eterno il bel vivo colore.
Seco ne inesta or la ben nata pianta
Onde vita si coglie, e l’arbor prima
Vietata; crudel morte al mondo diede.
A che salir per ricader da cima
Di questa, se di quella a l’ombra santa
Scorger si può quanto s’intende e vede?