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SONETTO VIII


Tempo è pur, ch’ io con la precinta vesta,
   Con l’ orecchie e con gli occhi avidi intenti,
   E con le faci in man vive ed ardenti
   Aspetti il caro Sposo e lieta e presta;
Per onorarlo riverente onesta,
   Avendo al cor gli altri desiri spenti;
   E brami l’ amor suo, l’ ira paventi;
   Sicch’ ei mi trovi al gran bisogno desta.
Non ch’ io sol prezzi i suo doni infiniti,
   E le soavi sue alte parole;
   Onde vita immortal lieto m’ offerse;
Ma perchè la man santa non m’ additi,
   Dicendo: Ecco la cieca, che non scerse
   Fra tanti chiari raggi il suo bel Sole.


SONETTO IX


Quando dal lume, il cui vivo splendore
   Rende ’l petto fedel lieto e sicuro,
   Si dissolve per grazia il ghìaccio duro,
   Che sovente si gela intorno ’l core;
Sento ai bei lampi del possente ardore
   Cader delle mie colpe il manto oscuro,
   E vestirmi in quel punto il chiaro e puro
   Della prima innocenzia, e primo amore.
E se ben con secreta e fida chiave
   Serro quel raggio; egli è schivo e sottile,
   Sicch’ un basso pensier lo scaccia e sdegna.
Ond’ ei ratto sen vola; io mesta e grave
   Rimango; e prego ’l, che d’ ogni ombra vile
   Mi spogli, acciò più presto a me sen vegna.