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XVI.
Nè lor porgeva la speranza ardire
Di poter acquistar fama ed onore;
Nè per dargli dopoi grave martire
Con dubbiosi pensier davan timore.
Nè per mutarsi i Regni, o per desire,
Per soggiogare altrui, gioja e dolore
Sentivano giammai sciolti di queste
Umane passion gravi e moleste.
XVII.
Ma senza altri pensier stavan contenti
Con l’aratro a voltar la dura terra,
Ed a mirar i suoi più cari armenti
Pascendo insieme far piacevol guerra:
Or con allegri, e boscherecci accenti
Scacciavano il dolor, che spesso atterra
Chi in se l’accoglie, fra l’erbette e fiori
Cantando or con le Ninfe, or co’ Pastori.
XVIII.
E spesso a’ piè d’un olmo, ovver d’un pino
Era una meta, o termine appoggiato:
E chi col dardo al segno più vicino
Veloce dava, era di frondi ornato.
A Cerer poi le spiche, a Bacco il vino
Offerivan divoti; e in tale stato
Passando i giorni lor serena e chiara
Questa vita facean misera e amara.
XIX.
Questa è la vita, che contanto piacque
Al gran padre Saturno, e che seguita
Fu dai pastori suoi, mentre che giacque
Nelle lor menti ambizion sopita.
Ma come poi questa ria peste nacque,
Nacque con lei l’invidia sempre unita:
E misero divenne a un tratto il mondo,
Prima così felice e sì giocondo.