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XII.
Quanti son poi, che divenuti amanti
     Di due begli occhi, e d’un leggiadro viso,
     Si pascon sol di dolorosi pianti,
     Da se stesso tenendo il cor diviso:
     Nè gioja, nè piacer sono bastanti
     Trarli dal petto, se non finto riso;
     E se lieti talor si mostran fuori,
     Anno per un piacer mille dolori.
XIII.
Chi vive senza mai sentir riposo
     Lontano dalla dolce amata vista;
     Chi a se stesso divien grave e nojoso,
     Sol per un sguardo, o una parola trista.
     Chi da un nuovo rival fatto geloso,
     Quasi appresso al morir si duol, s’attrista.
     Chi si consuma in altre varie pene,
     Più spesse assai, che le minute arene.
XIV.
E così senza mai stringere il seno
     Con la ragion a questi van desiri,
     Dietro al senso correndo, il viver pieno
     Traggono d’infiniti aspri martiri;
     Che tranquillo saria, puro, e sereno,
     Se senza passion, senza sospiri
     Lieti godendo quanto il Ciel n’ha dato,
     Vivessono in modesto, ed umil stato.
XV.
Come nella felice antica etate,
     Quando di bianco latte, e verdi ghiande
     Si pascevan quell’anime ben nate,
     Contente sol di povere vivande.
     E non s’udiva infra le genti armate
     Delle sonore trombe il rumor grande.
     Nè per far l’armi gli Ciclopi ignudi,
     Battendo risonar facean gl’incudi.