Pagina:Colonna - Rime, 1760.djvu/119


Del danno suo Roma infelice accorta
   Dice: poichè costui Morte mi tolli,
   Non mai più i sette colli
   Duce vedrà, che trionfando possa
   Per Sacra via trar catenati i colli.
   Dell’ altre piaghe, ond’ io son quasi morta,
   Forse sarei risorta;
   Ma questa è in mezzo ’l cor quella percossa,
   Che da me ogni speranza ne ha rimossa.
   Turbato corse il Tebro alla marina;
   E ne diè annuncio ad Ilia sua, che mesta
   Gridò piangendo: or questa
   Di mia progenie è l’ ultima ruina.
   Le sante Ninfe, e i boscherecci Dei
   Trassen il grido a lagrimar con lei.

E si sentir nell’ una e l’ altra riva
   Pianger Donne e Donzelle, e figlie e matri,
   E da’ purpurei Patri
   Alla più bassa plebe il popol tutto,
   E dire: o patria questo dì fra gli atri
   D’ Allia, e di Canne ai posteri si scriva;
   Quei giorni, che cattiva
   Restasti, e che ’l tuo Imperio fu distrutto,
   Nè più di questo son degni di lutto;
   E ’l desiderio, Signor mio, e ’l ricordo,
   Che di te in tutti gli animi è rimaso,
   Non trarrà già all’ Occaso
   Di questo il violente Fato ingordo;
   Nè potrà far, mentre che voce, o lingua
   Forman parole, il tuo nome s’ estingua.