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SONETTO CXXIV
I nove cori, e non le nove altere
Sorelle, il pensier scorge, e in mezzo ardente
Sol, che gli alluma intorno, apre la mente
Umile alle scienze eterne e vere.
Accolta poi fra le divine schiere
Tanto alzar sovra se l’ alma si sente,
Che fuor del natural corso sovente
Segue quel Sol con piume alte e leggiere.
E se non ch’ ella pellegrina e indegna
Del ben di tanta patria, forse Amore
Potrebbe farla quì chiara e felice.
Ben fa quel foco, che pien d’ ogni onore,
O vaghezza mortal, si duole e sdegna
Quasi arbor, che non vien da sua radice.
SONETTO CXXV
Molza, ch’ al Ciel quest’ altra tua Beatrice
Scorgi per disusate strade altiere,
Tali esser den l’ immortal glorie vere,
Gran frutto eterno trar d’ umil radice.
Lieve fora a cantar, ch’ una Fenice
Viva, e ch’ an lume le celesti sfere;
Far bianchi i corvi, e le colombe nere,
Opre son del tuo stil chiaro e felice.
Più onor dell’ altro avrai, che quella al Cielo
Tirò l’ amante, e fuor d’ umana scorza
Condusse l’ opra santa, e ’l bel desio.
Ma a te convien di casto ardente zelo
Infiammar l’ oste tuo, e quasi a forza
Poscia condurlo fuor d’ eterno oblio.