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SONETTO CXX


Ite, Signor, per l’ orme belle, ond’ io
   Rivegga intero in voi quel lume chiaro
   Del mio Sol vivo; e questo parco e avaro
   Ciel venga a forza largo al voler mio.
Spregiato ha ’l vostro ardir l’ acerbo e rio
   Fato de’ vostri, e con l’ invitto e raro
   Valor, a chi più il vede ognor più caro
   Tolto ha di maggior luce ogni desio.
Or che quel Sol, che solo in voi risplende,
   Non mostra in terra i divin raggi ardenti,
   Ma con lume maggior là su contende;
Odo, che ’l vostro core avendo spenti
   I contrasti e l’ insidie, s’ erge e accende
   Di sempre farsi conto all’ alte menti.


SONETTO CXXI


Tralucer dentro al mortal vel consparte,
   Quasi lampo, cui serra un chiaro vetro,
   Mille luci vid’ io, ma non mi spetro
   Dal mondo sì, ch’ io le depinga in carte.
Amor nell’ alma accesa a parte a parte
   Vere l’ impresse già molt’ anni a dietro,
   Ond’ ei spinge il desio, ed io m’ arretro
   Dall’ opra, ch’ ogni ardir da se diparte.
E s’ avvien pur, ch’ io ombreggi un picciol raggio
   Del mio gran Sol, da lagrime e sospiri,
   Quasi da pioggia, o nebbia par velato.
Se in amarlo fu audace, in tacer saggio
   Sia almeno il cor, che omai sdegna il beato
   Spirto, che mortal lingua a tanto aspiri.