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SONETTO CVI


Di vaga Primavera i più bei fiori;
   Di rare gemme il più ricco tesoro;
   Delle pregiate vene il più fin oro
   Perdono col bel volto i proprj onori.
Che al chiaro lampeggiar di quei colori,
   Par di celeste man l’ alto lavoro,
   Là dove gravità, e l’ umil decoro
   Empion gli uomini, e i Dei d’ intensi ardori.
Io miser, che mirarla osai per farmi
   Immortal col morir, l’ audace impresa,
   Nè più grave martir toglie il timore.
Nè posso, o voglio di speranza aitarmi,
   Anzi ognor giungo foco all’ alma accesa,
   Che bel fin fa, chi bene amando more.


SONETTO CVII


Di lagrime, e di foco nutrir l’ alma,
   Con secca speme rinverdir la voglia,
   Legar di nuovo il cor, quando discioglia
   Segno maggior la vista altiera ed alma,
M’ insegna Amor, e agevolar la salma,
   Mentre più alto il bel pensier m’ invoglia,
   E nel dolce cader scemar la doglia,
   Perch’ abbia altrui del mio languir la palma.
Soave cibo mi è il pianto, e l’ ardore,
   Le perdute speranze un giusto freno,
   Che indietro volge il già corso desire.
Il tormento m’ apporta largo onore,
   Che per virtù del bel lume sereno
   Di pari alla mercè piace il martire.