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Poi, chiamando in disparte il gran cerimoniere, gli bisbigliò in un orecchio:

― Volete, amico, che vi parli francamente? Avevo creduto finora che il far da imperatore fosse il più bel mestiere di questo mondo: ma oggi mi avvedo, pur troppo, di essermi ingannato. Oh fortunati gli scimmiottini che si contentano di rimaner semplici e modesti scimmiottini per tutta la vita! Almeno potranno levarsi il gusto di mangiare quando hanno fame, di dormire quando hanno sonno, e sul più bello del sonno nessuno verrà mai a svegliarli, per costringerli a ringraziare dal balcone una folla di sfaccendati, che non hanno voglia di andare a letto.

Nel tempo che Pipì faceva questa confidenza intima al gran cerimoniere, il cielo si era fatto nero come la cappa del camino, e l’acqua veniva giù a catinelle.

Allora si sentì sotto le finestre del palazzo imperiale uno strombettìo di fanfare e un baccano di voci e strilli scimmiotteschi, che gridavano:

― Vogliamo il sole! Vogliamo il bel tempo!... Se no, abbasso l’imperatore!...

― Amici miei, ― disse Pipì affacciandosi al balcone e parlando alla folla delle scimmie radunate in piazza. ― Amici miei, come volete che io faccia a darvi il sole e il bel tempo, finchè dura quest’acquazzone che pare un diluvio?

― No, no! Vogliamo il sole a ogni costo, e lo vogliamo subito!

― Confidate in me! ― soggiunse Pipì. ― Appena la pioggia cesserà e il tempo si rimetterà al buono, io prometto di darvi il sole e il bel tempo. ―