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― Neanche morto! ―
Il capo della masnada, senza aggiungere altre parole, si chinò, e preso il povero scimmiottino per la collottola, se lo pose nella tasca della sua casacca. Poi abbottonò la tasca con tre bottoni, che parevano tre ruote da carrozza.
― Ora possiamo andare ― disse ai suoi compagni; e tutti insieme si avviarono verso la strada maestra.
È impossibile ridire la disperazione, i pianti e gli urli dei fratellini di Pipì. Lo chiamavano con acutissime grida: ma non ebbero altra consolazione che quella di vedere le zampettine del povero scimmiottino, che uscivano fuori dalla tasca del capo-masnada, e si movevano con una lestezza vertiginosa, come se volessero raccomandarsi e chiedere aiuto.
IX.
All’Osteria delle Mosche.
Quando gli assassini si furono allontanati una ventina di chilometri, il terribile Golasecca (era questo il soprannome del capo-masnada) si fermò in mezzo a un campo e, voltandosi ai suoi compagni, disse loro con una vociaccia roca, che pareva il brontolio d’un tuono lontano:
― Ora potete ritornarvene alla Capanna Nera. Aspettatemi là, e fra quattro o cinque giorni ci rivedremo.
― Scusate, maestro, ― gli domandò uno di quei brutti ceffi ― avete pensato a portare con voi qualche cosa da mangiare?
― Non ho portato nulla.
― Male! E se per la strada vi viene un po’ appetito?