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Presso le due pareti, a destra e a sinistra della cattedra del maestro, ricorrevano due lunghissimi banchi per gli scolari.
Gli scolari seduti a destra si chiamavano Romani, e quelli a sinistra avevano il soprannome giocoso di Cartaginesi.
Tanto gli uni che gli altri erano capitanati da un imperatore: e per la dignità d’imperatore si capisce bene che venivano scelti i due scolari, che nel corso del mese avevano ottenuto un maggior numero di meriti, sia per buoni portamenti, sia per lodevole prova fatta nelle lezioni giornaliere.
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Una volta, me lo rammento sempre, il posto d’imperatore dei Romani, toccò anche a me: ma fu una gloria passeggiera. Dopo due ore appena di regno, per una delle mie solite birichinate, il maestro mi fece scendere dal seggio imperiale, e fui riconfinato in fondo alla panca. Eppure, sia detto per la verità, ebbi tanta forza da sopravvivere a quella sciagura, e in pochi minuti seppi darmene quasi pace. Si vede proprio che, fin da ragazzo, io non ero nato per fare l’imperatore.
E ora indovinate un po’, in tutta la scuola, chi fosse lo scolaro più svogliato, più irrequieto e più impertinente?
Se non lo sapete, ve lo dirò io in un orecchio; ma fatemi il piacere di non starlo a ridire ai vostri babbi e alle vostre mamme.
Lo scolaro più irrequieto e impertinente ero io. Non passava giorno che non si sentisse qualche voce gridare: