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quale si mette a fuggire perchè ha paura di una tartaruga, non è degno di comandare uno dei primi eserciti d’Europa (i soldati chinarono il capo in segno di ringraziamento) ordiniamo e vogliamo che il generale Leoncino si dimetta subito dal supremo grado che ha tenuto finora, e prenda invece gli scevroni di caporale. Il prode Raffaello, comandante di tutta la cavalleria, è incaricato di farsi consegnare da Leoncino la sua spada d’onore.»
Raffaello, senza metter tempo in mezzo, andò subito in fondo alla stanza: e movendosi di là e camminando un po’ di trotto e un po’ di galoppo, si presentò dinanzi al povero generale, e fece l’atto di chiedergli la spada.
Leoncino non disse una mezza parola, ma seguitava a tentennare il capo come fanno i chinesi di gesso. Alla fine, visto che non c’era scampo, cominciò adagio adagio a sfibbiarsi la spada dalla cintola: e sfibbiata che l’ebbe, figurò di consegnarla in mano a Raffaello, ossia al comandante della cavalleria.
Ma invece di consegnargliela, gliela battè sulle dita. E pare che gliela battesse piuttosto forte, perchè l’altro si risentì tutto inviperito, e ne nacque un combattimento a corpo a corpo fra la cavalleria e il generale. E chi lo sa come questo combattimento sarebbe finito, se il signor Giandomenico non ci fosse entrato di mezzo con le buone maniere, dando, cioè, un bellissimo scappellotto al generale, e pigliando per un orecchio la cavalleria. E così persuase i due guerreggianti a sospendere le ostilità e a firmare li su due piedi un trattato di pace.
E la pace fu firmata.
Ma il povero Leoncino non sapeva rassegnarsi a que-