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― Eccoci qui! eccoci qui! ― gridarono di fuori cinque voci argentine e squillanti, come tanti campanelli.

E nel tempo stesso entrarono in sala i cinque ragazzi, che si buttavano via dalle matte risate.

Il babbo, che non sapeva il motivo di questo gran buon umore, disse allora con accento risentito:

― Finitela una volta! Si potrebbe sapere almeno di chi ridete?

― Si ride di lui!... E accennando Leoncino, dettero in una risata più forte.

― Del nostro coraggioso generale! ― E qui una risata più lunga.

― Povero generale, che paura che ha avuta! Diamogli subito un bicchier d’acqua! ― E qui una risatona così sguaiata, che non finiva più.

E Leoncino?

IV.


Leoncino aveva perduto la voce. Stava ritto in mezzo alla sala, con la testa bassa, col mento conficcato nello stomaco, e di tanto in tanto dava dell’occhiatacce ai suoi compagni, come dire: «Quando saremo fuori di qui, faremo i conti e me la pagherete!...»

― Dunque, si può sapere che cos’è accaduto? ― domandò il babbo.

― Te lo racconterò io ― disse Raffaello, quello che faceva da cavalleria.

― No: io! ― gridò Gigino, il rappresentante la fanteria.