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noscere di certo, perchè chi sa quante volte lo avete incontrato per la strada: ma ora forse non ve lo rammentate più.

Figuratevi, dunque, un omone lungo lungo, grosso grosso, con un faccione largo come la luna, e con un nasone tutto pieno di nasini, da parere un grappolo d’uva.

Di nome si chiama Giandomenico: ma tutti nel paese lo conoscono col soprannome di Nasobello.

Vedendolo la prima volta e giudicandolo dalla fisonomia burbera e accigliata, c’è da scambiarlo per un orco, per un tiranno, per un mangia-bambini, e invece.... invece, è una bonissima pasta d’uomo, burlone, allegro, e tutt’amore per i figliuoli e tutto premure e attenzioni per il suo nipotino.

Tant’è vero, che appena gli capitò davanti Leoncino scalmanato e impaurito a quel modo, il sangue gli fece un gran rimescolone e gridò subito:

― Che cos’è stato? Perchè hai il viso così acceso?... Dove sono rimasti i tuoi cugini? ―

Il ragazzo stintignava a rispondere: pareva quasi che si vergognasse.

― Dunque?... ― insisté lo zio, alzando sempre più la voce.

― Ecco.... dirò.... una bestia così brutta....

― Quale bestia?...

― Io....

― Come? tu sei una bestia?...

― Io, no: quell’altra, che ho trovata nel bosco....

― Non capisco nulla: ma spiegati, per carità!... Dov’hai lasciato i tuoi cugini?

― Fra poco verranno....